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GRANETTO VISTO DA UN LETTERATO
di Ferruccio Ulivi (Facoltà di Magistero di Roma)

Luigi Granetto impersona, per chi da tempo, come chi scrive, lo conosce, e credo per gli altri, il dato di fatto, stavo per dire il fenomeno sempre nuovo della giovinezza nel momento in cui si appresta a fare le sue scelte decisive. A me sembra, in altri termini, un robusto arcangeletto sul punto in cui prova le ali buttandosi nel vuoto. E non è che il nostro amico di tentazioni del genere sia proprio malpratico. Cerchiamo di tracciarne, in quattro baleni, l'itinerario di vita che lui stesso (sacra spavalderia giovanile) ci appresta in una diecina di nutrite pagine, «materiali critico biografici». Di elementi biografici, in verità, non c'è molto; o meglio, non c'è nulla. Con superbia discrezione, Granetto sa che le « vite» degli artisti devono tesserle gli altri; e se ne tiene fuori. Ci tiene, invece, a svelarci le sue idee sull'arte: le quali restano a loro volta genialmente schermate, a dimostrare una volta di più, se ce ne fosse bisogno, che per gli artisti autentici le parole contano molto meno dei fatti: contano per lasciar intuire, nel fondo del pozzo, l'incondita, innovante autenticità della materia inventiva; contano per invitarci a fare noi pure, lettori osservatori, il salto nel buio per afferrare, a brandelli, una manciata, medusèa, della singolare verità. Dice in modo epigrafico Granetto nei suoi appunti (in Pittura da Camera): "Le illusioni non i sogni». Segue, con significante ossimoro: «Le fissità, le fedi, le scoperte, non le evanescenze, le dissolvenze, le apparenze provvisorie». Molto bello, a me sembra, quell'inciso, «Le illusioni non i sogni», per dichiarare poi che in arte quel che vale sono le fedi, le innovazioni, le "fissità" e non le apparenze provvisone che sono legate invece all'illusorio effimero dei segni. Bisogna evidentemente esser certi delle proprie, nututive, illusioni (in senso leopardiano) per puntarci sopra fedi e scoperte. E bisogna credere ai "segni che incidono come per mimesi di un atomismo presocratico", e pretendere di cogliere la materia in fieri "una natura rugosa che più muore più si complica" per buttare risolutamente dalla finestra la logica, il.calcolo, la prospettiva, i valori tradizionali, e cominciare il discorso da capo, come nessun discorso fosse stato mai fatto al mondo, non solo: per rinunciare " alla citazione, al furto, alla furbizia del ladrocinio" e ostentare coraggiosa "indifferenza al nuovo, al fresco, al lineare, all'essenziale, al geniale". Non facciamo che utilizzare o parafrasare citazioni, motti, pensieri che Granetto ci segnala di una mostra di tre anni fa. Ebbene, mettiamo ora da parte lo zibaldone dei pensieri, e guardiamo i dipinti dal '70, '71 in poi. C'è qui, anzitutto, KIee, c'è Pollock, c'è Kandinskj, c'è Matta; c'è soprattutto KIee, dal Klee delle illustrazioni del Candide volterriano dell'antico 1911, al tragico e ossessivo che abbiamo potuto vedere a Berna, alla Fondazione che gli si intitola: Klee col suo rifiuto di qualunque teoria della forma e dottrina della visione. Ma Granetto, come si sarà capito, gioca il tutto per tutto, si batte con tutte le ossessioni, suggerimenti, simboli; sogna, o meglio ipotizza costruzioni apocalittiche, aggredisce «la materia poetica», ripercorre fino a stancarsi itinerari tombali tipo «salotti veneziani, malinconia veneziana...», propone opere graffite sperimentali, inventa idoli-ritratti, compulsa archeologie. Una serie che ha sul cavalletto s'intitola alla Genesi e fa i conti son suggestioni totalitane da Sacre du prinlemps, alla Stravinskj. Granetto ha l'aria di un cavallo in corsa che di tanto in tanto volta la testa indietro e si accorge che le orme migliori sono quelle che seguiranno. Vogliamo ripercorrere con lui il tragitto, e al posto del « curriculum vitae » considerare il percorso del suo passato nella luce, capovolta, del futuro? del suo mirabile à rebours del futuro?

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